Intervista al cantastorie Daniele Mutino

Pubblicato da Italo il





Daniele Mutino, parlaci di te in generale come artista e musicista, e del tuo vivere la città di Roma come busker

  1. Nasco come musicista classico, pianista, diplomato in Conservatorio precocemente. All’età di ventidue anni, però, dopo alcuni concerti solistici in Italia e all’estero (Praga, Oslo, Melbourne, Sidney, Lione, Mogadiscio), ho avuto una crisi di rigetto di quel mondo così competitivo: dopo tanti anni passati a casa a studiare il pianoforte otto ore al giorno, ho sentito il bisogno di uscire e conoscere il mondo. Così ho lasciato il pianoforte e, mentre lavoravo in alcuni locali notturni come piano bar, mi sono messo a studiare antropologia culturale all’Università di Roma, con il sogno di andare un giorno a lavorare da etnologo in Amazzonia. Era il 1990, e appena inizio a frequentare l’università questa viene occupata dal Movimento della Pantera, che mi travolge come un fiume in piena. All’interno dell’Università occupata assisto ad uno spettacolo di Nino Racco, attore/cantastorie, che lavorava a quel tempo a cappello nelle piazze di Roma: faceva uno spettacolo drammatico sulla storia del Bandito Salvatore Giuliano, senza scenografie, con solo una chitarra, con cui “teneva” il cerchio formato dai passanti per circa un’ora, in cui stavano tutti con il fiato sospeso. Decisi che quello era ciò che volevo fare nella vita: entrai quindi nel gruppo teatrale che Nino Racco formò con alcuni occupanti della Facoltà di Lettere, il Novanta Teatro Movimento, e, con la sua direzione, iniziammo a portare avanti un training quotidiano per la formazione del corpo dell’attore basato sui principi del Terzo Teatro di E.Barba e sul Teatro Povero di J.Grotowskij, il che ci condusse a fare teatro musicale di cantastorie nelle piazze. Innamorato di questo modo di fare arte a contatto con la gente della strada, abbandonai l’idea di andare in Amazzonia e iniziai a suonare la fisarmonica. Dopo un paio di anni, con il Novanta Teatro Movimento andammo a vivere tutti insieme in un casale di pietra senza corrente elettrica né acqua corrente nei boschi del Monte Peglia, scendendo a Roma nei fine settimana per guadagnarci di che vivere facendo spettacoli a cappello. Dopo alcuni anni, l’esperienza comunitaria finì, e io tornai stabilmente a Roma, lavorando in strada non più con il gruppo ma da solo, o in duo con Claudio Montuori (Duo Filamistrocca) e Sebastiano Spinella (Musica clowneska). Se con il gruppo lavoravamo nelle piazze con il cerchio, con spettacoli di cantastorie piuttosto strutturati (soprattutto a Piazza Navona, Pantheon, Piazza della Maddalena), ora in questa nuova dimensione lavoravamo come buskers e clown, muovendoci itineranti nelle strade del centro di Roma, alla ricerca di luoghi e momenti adatti ai nostri spettacoli, basati in gran parte sull’improvvisazione: si trattava di una vera e propria esplorazione musicale della città, sempre in cerca di luoghi nuovi da sperimentare, attraverso cui ho imparato ad amare Roma come un vero e proprio teatro a cielo aperto, con acustiche meravigliose, sfondi e illuminazioni unici, ed un pubblico vario, attento e passionale, il più grande palcoscenico del mondo. Dal 2000 in poi ho ripreso a lavorare anche al di fuori della strada, con concerti e spettacoli di teatro, e ho intrapreso, come studioso, autore ed interprete, una ricerca approfondita sulla figura del cantastorie: in ogni caso, però, la strada rimane per me la risorsa di fondo, il luogo segreto, la mia sicurezza e anche un luogo in cui attingere energia ed ispirazione, e le strade e le piazze di Roma rimangono per me il più grande palcoscenico del mondo, anche se, a causa delle delibere sfavorevoli e dei mutamenti sociali, la situazione è peggiorata ed io evito ormai di andare a lavorare in centro, e preferisco battere le periferie, i mercati, e i paesi circostanti la capitale.

Secondo te che cosa è stato, e cos’è ora, fare il busker, l’artista di strada a Roma? Come viene vissuta la città dagli artisti locali, che fanno spettacoli a cappello, e da quelli di passaggio provenienti da tutto il mondo?

  1. Negli anni novanta fare l’artista di strada a Roma era facile e meraviglioso, anche se l’articolo 121 del TULPS determinava una situazione di costante illegalità, per cui si poteva essere sempre cacciati e multati, cosa che avveniva non di rado. Ma eravamo pochi artisti e tutti molto validi, e c’era la gente che ti supportava e ti difendeva anche dai vigili: la gente meravigliosa della strada, generica, non politicizzata, formata da bambini, anziani, poveri, ricchi, colti e semplici, gente di destra e di sinistra. Poi, a partire dall’entrata nel nuovo millennio, le cose sono cambiate, non nella gente, che è sempre meravigliosa, ma nel tessuto sociale di chi fa spettacolo in strada, con un conseguente inasprimento della situazione. A cambiare le cose è stata soprattutto l’entrata in gioco di un gran numero di immigrati, e non solo, che si propongono come pseudo artisti di strada nel centro storico di Roma. Faccio una premessa importante: la natura itinerante e transnazionale dell’arte di strada è il cuore del suo sogno, e molti dei più validi artisti di strada che ci sono in Italia sono proprio stranieri che si sono fermati a vivere qui per amore del loro mestiere, che nella nostra penisola gode del favore del clima, della bellezza dei centri storici, della presenza di tanti turisti, del calore emotivo della gente. Quando parliamo del recente mutamento sociale della piazza, però, non parliamo dell’artista straniero che arriva a Roma di passaggio, in un percorso itinerante, e offre liberamente il suo spettacolo, e magari si ferma anche a vivere qui, ma parliamo dell’entrata in gioco in misura massiccia di persone, per lo più (ma non solo) stranieri, che vivono il fatto di esibirsi in strada con ferocia strumentale, in quanto legati ad una esigenza economica molto stringente, che soffoca la loro empatia con il territorio e il loro rispetto delle regole di convivenza. Molti di loro, poi, si esibiscono senza arte, solo per supportare quella che di fatto è una forma di mendicità. Ora, la mendicità ha tutta la sua assoluta dignità, così come, d’altra parte, l’arte di strada, ma questa rispettiva dignità è tutelata solo nella misura in cui è chiaro che si tratta di attività molto diverse tra loro, e i territori di ambiguità che si creano tra l’una e l’altra sono assolutamente deleteri. Come estrema espressione di questo disagio e di questa ambiguità, ha preso sempre più forza a Roma il fenomeno dei racket dei figuranti statici, che prima si esibivano come statue viventi – Statue della Libertà o Sfingi – e ora come finti fakiri sospesi; in ogni caso numeri statici costituiti solo da kit preconfezionati da indossare, senza alcuna arte: quando si tolgono il “costume”, vedi che si tratta di persone provenienti da remoti paesi dell’Asia con gli occhi di chi è appena uscito da quarant’anni di miniera e che non parlano nessuna lingua europea, e quindi non comunicano; costoro, portati e prelevati sul lavoro da misteriose automobili, lavorano stando immobili nello stesso posto per 8/10 ore al giorno, nei migliori posti di Roma, col sole dell’estate e il gelo dell’inverno, senza alcun rispetto delle regole di alternanza previste, e malgrado questo misteriosamente tollerati dai vigili.
    A causa dell’entrata in campo massiccia di questi lavoratori “forzati”, di questa ambiguità tra arte e mendicità, dell’aumento di persone che si propongono in strada, del caos provocato da delibere comunali assolutamente inadeguate, la situazione si è negli anni sempre più esasperata, anche nel rapporto tra artisti e residenti e commercianti, e oggi continuare a fare arte vera nel centro storico di Roma, vivendo del proprio lavoro, è diventata una forma eroica di ostinata resistenza al degrado, di amore per la gente e per l’arte, contro tutto e tutti.

Roma è una città aperta all’arte di strada? Oppure no? I problemi eventuali sono solo delle istituzioni, o c’è qualcosa di diverso nel rapporto con la città Roma?

  1. Roma è per storia, attitudine e tradizione la capitale mondiale dell’arte di strada. Parliamo di una città in cui la presenza dell’arte di strada è documentata a partire dal VI secolo avanti Cristo, continuativamente fino ad oggi. Abbiamo anche una miriade di pitture e disegni che documentano la presenza di spettacoli nelle piazze romane nei secoli. All’inizio del XIX secolo, in un periodo storico molto tormentato politicamente, alcuni acquarelli di Victor Turner e, soprattutto, i disegni di Bartolomeo Pinelli raccontano Roma come una città le cui piazze e strade pullulavano di musica, spettacoli, giochi; sono proprio quelle specifiche piazze in cui l’ultima recente sciagurata delibera del I Municipio proibisce qualsiasi espressione musicale, in quanto piazze dalla pretesa “attitudine religioso-meditativa”, dimenticando che il teatro popolare, a partire dal medioevo, nasce proprio sui sagrati delle Chiese. La modernità ha portato tante conquiste e progresso, ma per quanto riguarda la qualità della vita nei luoghi pubblici, non si può certo parlare di un miglioramento: oggi Roma non è una città aperta all’arte di strada. Il mutamento della situazione sociale e le cattive delibere comunali che hanno trovato la loro falsa giustificazione nell’esasperazione, ha portato ad un progressivo degrado dell’arte di strada, con un peggioramento impressionante sia della proposta qualitativa media, sia della relazione tra artista e territorio. Di fronte ad una regolamentazione che, a partire dal 2012, non tutela più in alcun modo l’arte di strada, c’è stata una diaspora degli artisti di valore, che preferiscono esibirsi altrove, in contesti dove sia possibile avere un minimo di tutela e tranquillità. Io sono uno di questi.
    Ma alcuni artisti validi e rispettosi sono rimasti comunque a donare la loro arte nel centro storico romano, e la cosa strana è che sono proprio costoro ad essere anche i più bersagliati dalle forze dell’ordine. Di contro, tanti altri artisti, o pseudo tali, che non rispettano niente e nessuno e si sentono al di sopra di qualsiasi regola, si muovono praticamente indisturbati, senza che le forze dell’ordine dicano loro nulla. Verrebbe da pensare che ci sia chi ha un interesse preciso a favorire il degrado, magari anche solo per proporsi, con misure repressive, come il salvatore della patria di turno. E in questo contesto ci sono le figure tragicomiche di quei politici e operatori dell’opinione, che, trovando anche un seguito significativo, indicano incredibilmente nella musica di strada la fonte primaria dell’inquinamento acustico della nostra città, nonché la causa delle patologie che affliggono i residenti del centro storico, e per questo chiedono l’intervento del legislatore per silenziare completamente tutto il territorio abitato di Roma Capitale, vietando ogni espressione musicale nei luoghi pubblici. Secondo queste persone disturbate nell’anima, la musica, anche se suonata correttamente, nel rispetto di tutti, è una fonte di malattia, e non, come io invece ritengo sia evidente, una cura.

Tu e il movimento politico degli artisti di strada a Roma. Cosa si è fatto insieme, cosa si può fare ancora nella dimensione dei giorni nostri?

  1. Roma ha una grande tradizione come movimento a difesa dell’arte di strada, probabilmente la tradizione più importante del mondo, almeno per quel che riguarda gli ultimi trenta anni. Ci sono state molte associazioni che si sono mosse in questo senso: si comincia alla fine degli anni ottanta con Stradarte, poi l’A.M.I. (Associazione Musicisti Itineranti) e il CO.R.A.S. (Coordinamento Romano Artisti di Strada), che, con la loro attività in concerto con le istituzioni capitoline, hanno portato alla prima storica delibera romana del 2000, la prima che regolamenta l’arte di strada in una grande città italiana, presentata in Campidoglio nientedimeno che da Dario Fo, fresco di Premio Nobel proprio per aver “ripreso l’arte degli antichi giullari”; poi il secondo Coo.R.A.S., che ha gestito la crisi con la giunta Alemanno culminata con l’infausta delibera del 2012 ancora in vigore, e il Comitato Romano Artisti di Strada a Cappello, che nel 2017 ha interloquito con la giunta Raggi, producendo una importante proposta di delibera firmata da oltre 250 artisti, ed attualmente al vaglio della Commissione Cultura di Roma Capitale. Ma la dimensione più autentica di queste nostre rivendicazioni non risiede certo nella natura burocratica dell’associazionismo, che pure è stato storicamente un importante strumento per relazionarsi con il mondo della politica, quanto piuttosto nel movimento: Strada Libera Tutti nasce infatti come libero movimento di persone di ogni tipo, per contrastare la Delibera del 2012, ed ha ora in mano la sopravvivenza di questa antichissima tradizione, che ha le sue radici nel diritto costituzionale alla libertà d’espressione, e nella liberalità del donare – sia, per l’artista, donare l’arte alla gente, sia, per il passante, donare un’eventuale spontanea offerta da depositare nel cappello dell’artista. I ricorsi al TAR contro le delibere anticulturali e repressive dell’amministrazione capitolina, le raccolte di fondi, le petizioni, le manifestazioni spettacolo, la nascita di questo Blog, il ragionare sui regolamenti possibili, sulle misure da adottare per la tutela di una corretta relazione tra arte di strada e il territorio, il confrontarci nelle nostre differenze e anche il discutere animatamente, sono le espressioni di un movimento che vive con passione a tutela di un diritto che non è degli artisti di strada, ma di tutta la gente, ed esprimono l’amore per una città straordinaria, Roma.

In una visione situazionista dell’arte di strada a Roma, quali sono i luoghi della città che più si accordano a questa antica arte, oppure rievocano nell’arte le scene della città nelle varie epoche, passate e presenti?

  1. È in questo preciso senso che la natura itinerante dell’arte di strada va considerata come il cuore della sua bellezza e del suo valore. La Delibera del 2012, che impone ad ogni artista la scelta di un solo unico luogo in cui può esibirsi tutto l’anno, colpisce proprio tale natura itinerante, che è invece fondamentale per garantire un ricambio nei luoghi, e rendere quindi l’arte di strada sostenibile per il territorio. Quando vado a suonare in un luogo pubblico, io sono consapevole che, anche se la mia musica o i miei spettacoli sono certo molto belli e incantano tanta gente, chi lavora o vive in prossimità di quel luogo può viverli legittimamente come un’invasione del proprio spazio, e quindi come un fastidio. Questo soprattutto se si tratta di luoghi già quotidianamente saturi di musica e spettacoli. Per questo mi metto sempre in ascolto, cercando di cogliere segnali che rivelino la “stanchezza” di un luogo, a prescindere da quella che è la risposta dei passanti, pronto ad andarmene quando mi rendo conto di poter diventare per qualcuno fonte di fastidio: io stesso, dopo un po’ che staziono in uno stesso punto, mi stanco di me stesso, del mio suono, e sento il bisogno di spostarmi a cercare un nuovo luogo. Certo, se qualcuno mi caccia con arroganza, senza riconoscere il mio diritto ad esibirmi, io al contrario mi impunto e difendo fino in fondo tale diritto. Ma, in generale, il fatto di potersi spostare, garantisce serenità, e tutela la qualità dell’arte di strada. Per questo la ricerca di luoghi nuovi diventa un fattore fondamentale di questo mestiere. Anche perché l’arte di strada ha la forza di trasformare positivamente i luoghi, interrompendo le traiettorie solitarie ed impazzite dei passanti, per aggiogarli al fascino di una melodia, di un gioco, di una storia, parlare ai cuori, e formare cerchi di persone compartecipi delle medesime emozioni con persone completamente diverse tra loro, che nella vita quotidiana sono irrimediabilmente divise. Si realizza così, terapeuticamente, per un breve, circoscritto ma significativo tempo, il sogno di un mondo migliore, unito, senza fratture, dove la diffidenza, l’odio e la paura tra le persone sono vinti dall’emozione e dalla poesia dell’arte.

Concludi questa intervista come vuoi tu.

  1. Nel 2015, all’indomani dei terribili attentati di Parigi, di fronte al Bataclan, teatro di una strage efferata che causa la morte di novanta persone, un ragazzo trascina un pianoforte con un carretto e, davanti ai fiori e alla gente raccolta in preghiera, si mette a suonare Imagine di John Lennon, inno all’utopia di un mondo libero dall’oppressione del male. Tutti cantano e piangono al tempo stesso. Si tratta della prima spontanea risposta della gente al terrorismo: non il chiudersi dentro le case al sicuro, non la guerra, non la vendetta, non la paura, come vorrebbe chi ha seminato il terrore, ma l’arte di strada, ovvero uscire di casa per ritrovarsi insieme in un luogo pubblico a condividere le emozioni suscitate da un artista. Questo può aiutarci a riflettere sul valore terapeutico dell’arte di strada, se ben rispettosa e ben regolamentata, anche perché laddove c’è uno spettacolo di strada, lì, di sicuro, il terrore, la diffidenza e la divisione, i grandi mali del nostro tempo, non hanno vinto.

    (Intervista a cura di Italo Cassa)

     

    Parigi, porta il pianoforte vicino al Bataclan e suona “Imagine” di John Lennon

LINK ALLE MUSICHE DI UNO SPETTACOLO DI CANTASTORIE DI DANIELE MUTINO:

https://soundcloud.com/daniele-mutino/sets/san-giorgio-e-il-drago-daniele-mutino-e-i-musici-della-storia-cantata

LINK AL CANALE VIDEO DI DANIELE MUTINO:

https://www.youtube.com/user/Danielemutino

DANIELE MUTINO E IL DUO FILAMISTROCCA a Roma – da “La strada come palcoscenico“, film di W.Tcherkoff per la TSI (2000)

BIBLIOGRAFIA :

STORIA DI UN CANTASTORIE – Daniele Mutino una fisarmonica itinerante”, a cura di Maria Lanciotti, Edizione Controluce, 2014 (I edizione), 2018 (II edizione).

Scarica l’intervista in PDF Intervista al cantastorie Daniele Mutino

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